da Melting Pot: Diritti sotto sequestro – La prova di un respingimento illegittimo dal porto di Palermo, poi annullato dal Giudice di Pace
Diritti sotto sequestro – La prova di un respingimento illegittimo dal porto di Palermo, poi annullato dal Giudice di Pace
rubrica a cura di Fulvio Vassallo Paleologo, Università di Palermo
Domenica 19 agosto i principali giornali italiani hanno dovuto riprendere il tema degli sbarchi a Lampedusa, per l’arrivo nell’isola di oltre 400 migranti, in parte maghrebini ed in parte minore di provenienza sub sahariana, dei quali rimangono come al solito nell’incertezza più totale la successiva destinazione e le condizioni di trattenimento stabilite dalle autorità di polizia. Né si comprende, a ventiquattro ore dallo sbarco, se il ministero dell’interno intende riattivare il centro di prima accoglienza e soccorso di contrada Imbriacola chiuso da Maroni lo scorso anno come pretesto per dichiarare l’isola “porto non sicuro” ed impedire l’accoglienza dei migranti a Lampedusa. Una motivazione del tutto pretestuosa, che nei fatti non è stata ancora smentita dal nuovo governo, malgrado la definizione dei lavori di ristrutturazione e qualche generica affermazione del ministro dell’interno Cancellieri. Ci sono comunque tutti gli ingredienti perché si ritorni a parlare di emergenza, anche se la legge n.135 pubblicata il 14 agosto di quest’anno ( sulla cd. spending review) stabilisce che “con ordinanze adottate, almeno dieci giorni prima della scadenza del termine di cui al comma 11, ai sensi dell’articolo 5, commi 4‐ter e 4‐ quater, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, si provvederà a regolare la chiusura dello stato di emergenza ed il rientro nella gestione ordinaria, da parte del Ministero dell’interno e delle altre amministrazioni competenti, degli interventi concernenti l’afflusso di immigrati sul territorio nazionale”.
In realtà la vera emergenza immigrazione si concretizza nella violazione reiterata, da parte delle autorità amministrative, delle norme basilari in materia di respingimento, espulsione e trattenimento amministrativo. Che si tratti di questo lo confermano ogni giorno decine di sentenze della magistratura, anche se sono mancati accertamenti penali definitivi sui casi più gravi. Come nel caso dell’allontanamento sommario dall’aeroporto di Palermo dei tunisini arrivati nel 2011, e la detenzione amministrativa praticata in quello stesso anno a Lampedusa o sulle navi prigione ormeggiate nel porto di Palermo, al di fuori dei termini previsti dalla legge. Casi sui quali la magistratura ha ritenuto di non procedere malgrado esposti assai circostanziati presentati in Procura.
Ancora nel mese di luglio del 2012, a partire da questo stesso porto, si verificava un grave caso di trattenimento arbitrario per cinque giorni a bordo di una nave passeggeri battente bandiera italiana proveniente d Tunisi, la ZEUS PALACE, in vista della successiva riammissione in patria, di un cittadino tunisino, Mehdi A., destinatario di un provvedimento di rigetto dell’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno, mentre si trovava nel suo paese con la sola ricevuta rilasciata appunto in precedenza ( quasi un anno prima) al momento della presentazione della pratica per il rinnovo del permesso di soggiorno. Al suo arrivo nel porto di Palermo, a Mhedi veniva notificato un provvedimento di respingimento alla frontiera in base all’art. 10 comma 1 del T.U. 286 del 1998, perché ritenuto in quel momento privo di un visto o di un valido permesso di soggiorno, malgrado risultasse coniuge di una donna in avanzato stato di gravidanza che lo attendeva a Mazara del Vallo, e fosse da tempo regolarmente residente, con una figlia di pochi mesi, in Sicilia. Un respingimento immediato che in realtà si traduceva in una limitazione sostanziale della libertà personale per cinque giorni, risultando in contrasto con l’art. 19 del testo Unico sull’immigrazione che vieta i respingimenti delle donne in stato di gravidanza e, nella interpretazione dei giudici, anche dei loro mariti. Mhedi era peraltro genitore di una minore straniera regolarmente residente in Italia con la madre ed anche per questa ragione non avrebbe dovuto essere respinto, in base al principio dell’unità familiare affermato dall’art. 8 della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo.
Nel caso di questo cittadino tunisino illegittimamente respinto dalla Questura di Palermo nel mese di luglio del 2012, si trattava di una persona che, a causa della morte improvvisa del padre, era dovuto rientrare nel suo paese con la sola ricevuta della pratica di rinnovo del permesso di soggiorno. Mentre si trovava in Tunisia a Mehdi era stato negato il rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro da parte della questura di Trapani per il mancato riconoscimento dei requisiti di reddito (insufficienza dei mezzi di sussistenza) e “ per la non comprovata residenza” (!). Sul caso, particolarmente grave, anche perché, a seguito dell’allontanamento del marito la moglie ha perso il bambino, ed è rimasta sola con una bambina piccolissima, si è stato possibile acquisire tutti i provvedimenti emessi dalla Questura di Trapani e successivamente dalla Questura di Palermo, e si è dunque riusciti a proporre un ricorso tempestivo contro il decreto di respingimento.
E’ quindi intervenuto il Giudice di pace di Palermo che, con provvedimento del 3 agosto 2012, ha annullato il decreto di respingimento del Questore di Palermo emesso il primo luglio 2012. Un respingimento deciso al momento dell’arrivo della nave da Tunisi a Palermo, al quale era seguito l’illegittimo trattenimento dell’immigrato a bordo della nave, “ affidato al comandante” , ai sensi dell’art.10 comma 3 del T.U. sull’immigrazione n.286 del 1998, su ordine delle autorità di polizia, per cinque lunghi giorni, a bordo dello stesso traghetto in rotta verso altri porti italiani, prima di fare ritorno in Tunisia. Nelle motivazioni il giudice ricorda che l’inespellibilità della moglie in stato di gravidanza si estende anche al marito, come affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n.367 del 2000, una sentenza della quale non hanno tenuto alcun conto quegli uffici di polizia che hanno adottato ed eseguito il provvedimento di respingimento immediato in frontiera previsto dall’art. 10 comma 1 del T.U. n.286 del 1998, malgrado Mehdi reclamasse i suoi diritti e la condizione di gravidanza della moglie.
Adesso dovrà procedersi davanti al Tribunale amministrativo per l’annullamento del provvedimento di espulsione, per l’assoluta carenza dei presupposti di legittimità, e quindi le autorità italiane, nel caso di specie il ministero degli affari esteri ed il ministero dell’interno, dovranno consegnare a Mehdi, presso il consolato italiano in Tunisia, un visto di ingresso per il ritorno in Italia. E si dovranno anche risarcire i danni morali e patrimoniali. E’ stato leso il diritto all’unità familiare riconosciuto dall’art.8 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo, e se non si farà giustizia in Italia, una volta esauriti i mezzi di ricorso interni, Mehdi potrà presentare un ricorso contro l’Italia alla Corte di Strasburgo.
Dopo l’attenuazione degli sbarchi e degli arrivi dai paesi del Nord Africa, ma non si tratta sicuramente di un risultato definitivo delle politiche di deterrenza adottate dalle autorità italiane o della fine di movimenti migratori che ormai hanno carattere ciclico, il dato che colpisce maggiormente, con l’aggravarsi della crisi economica, è costituito dal rilevante numero di immigrati già regolari, magari da anni, che perdono con il lavoro anche il diritto a soggiornare in Italia, come effetto del legame perverso tra contratto di lavoro e permesso di soggiorno. Un problema che è stato avvertito, ma non certo risolto, dall’attuale governo in carica, che ha modificato la normativa previgente ed ha prolungato da sei a dodici mesi la validità dei permessi di soggiorno per attesa occupazione. Ma queste modeste aperture legislative continuano a scontrarsi con le prassi delle autorità di polizia che continuano a negare il riconoscimento dei diritti fondamentali dei migranti anche nell’espletamento di quelle pratiche che, come il rinnovo dei permessi di soggiorno per lavoro, dovrebbero costituire la normale amministrazione.
Fulvio Vassallo Paleologo
Università di Palermo