Ragazzi da sbarco

Ragazzi da sbarco

30 settembre 2013

Sono quasi tremila i bambini e i ragazzi soli arrivati in questi mesi sulle coste italiane. Ma l’accoglienza nei loro confronti rimane inadeguata e carente.

Ci sono sensazioni che un bambino non dovrebbe mai provare. Ad esempio il rollio di un peschereccio stipato di persone che per sei, otto o dieci giorni solca le acque del Mediterraneo. I più fortunati possono stringersi tra le braccia dei genitori o di un fratello maggiore. Ma per molti non c’è consolazione, solo la speranza di arrivare presto alla terraferma, di poter riabbracciare i propri cari o di iniziare una nuova vita. Sono stati 4.050 i minori stranieri arrivati in Italia tra il 1° gennaio e il 6 settembre 2013 (dati forniti dal Ministero dell’Interno): molti di loro viaggiavano assieme ai genitori o a un parente, ma la maggiorparte (2.914 bambini e ragazzi) sono minori stranieri non accompagnati. «Prevalentemente si tratta di minori egiziani, in questi mesi ne sono sbarcati 870», spiega Viviana Valastro, coordinatrice progetti minori migranti per Save the children. La seconda nazionalità più rappresentata è quella dei minori somali (631), i siriani (449), eritrei (360) e afghani (227 arrivi, soprattutto in Calabria).

Sono dati che, soprattutto se messi a confronto con gli omologhi del 2012, evidenziano trend preoccupanti. «Il numero dei minori egiziani è quasi triplicato, passando da 310 minori a 870 – prosegue Valastro –. I siriani lo scorso anno erano 59 mentre i ragazzini eritrei che hanno affrontato da soli il viaggio erano 53». Segno che le condizioni di vita nei Paesi d’origine stanno drasticamente peggiorando: la guerra in Siria e la leva militare obbligatoria in Eritrea spingono sempre più ragazzini a tentare la fuga. «Nel caso dei minori siriani, quello che abbiamo riscontrato è che anche se viaggiano soli, senza un genitore o un parente, si trovano comunque con persone che conoscono. E pochi giorni dopo lo sbarco, tendono ad allontanarsi dalla Sicilia assieme a loro».

Al di là dei numeri, che fanno da “termometro” sulla situazione politica nelle aree più calde del mondo, quello che maggiormente peroccupa sono le carenti condizioni di accoglienza che questi bambini trovano al loro arrivo in Italia. Con lo scoppio dell’emergenza sbarchi a Siracusa i minori (accompagnati e non) hanno trovato inizialmente accoglienza all’Umberto I: una struttura gestita da un’azienda di pulizie e inadatta all’accoglienza. Priva di un presidio medico (solo dal 24 luglio è operativo un team di Emergency), di mediatori culturali e di spazi adatti a garantire la privacy di donne e minori. «Ci siamo sempre raccomandati di evitare la promiscuità tra minori e adulti – sottolinea Vivana Valastro – ma con l’arrivo dei minori egiziani la situazione si è fatta ingestibile». Le criticità del posto sono esplose in maniera drammatica.

Per trovare una risposta alle esigenze dei più piccoli, ai primi di agosto la Prefettura di Siracusa ha accolto l’offerta di un imprenditore locale, attivo nella gestione dei servizi di vigilanza, che ha messo a disposizione una struttura a Priolo, piccolo comune a una decina di chilometri da Siracusa. «Abbiamo mandato una lettera d’intenti alla Prefettura in cui mettevamo a disposizione la struttura – spiega il direttore del centro, Daniele Carrozza –. C’è stata una verifica da parte dei funzionari della Prefettura stessa che poi ha iniziato a mandarci i primi ospiti». In base a quanto previsto dalla cosiddetta “Legge Puglia”, il centro ha aperto i battenti l’8 agosto scorso.

A un primo sguardo (rigorosamente al di là del cancello d’ingresso) le strutture del centro Papa Francesco sembrano migliori rispetto a quelle dell‘Umberto I. Ma le criticità appaiono subito evidenti non appena ci si concentra sul funzionamento della struttura. Quello che dovrebbe essere un centro di accoglienza temporanea, un luogo di transito dove i minori sostano per pochi giorni, in attesa di trovare una comunità o una soluzione più adatta a loro, si è di fatto trasformato in qualcosa di completamente diverso. «Ho ancora alcuni ragazzi arrivati qui l’8 agosto – spiega Carrozza –. Siamo riusciti a collocare solo una ventina di ragazzi, ma nelle comunità non ci sono i posti. O meglio non c’è la disponibilità ad accogliere i ragazzi dal momento che i Comuni non pagano le rette».

Da settimane decine di ragazzi restano parcheggiati in un luogo che non è adatto a garantire loro quello di cui hanno bisogno. L’impegno di volontari e operatori non basta: generosità e buona volontà non possono diventare l’alibi dietro cui nascondere le carenze di un sistema di accoglienza che fa acqua da tutte le parti. I minori non accompagnati devono iniziare il più presto possibile un percorso di integrazione adeguato alle loro esigenze, devono studiare e avviare percorsi formativi che li accompagnino verso l’autonomia all’interno di strutture adeguate. Se i tempi si dilatano e non ricevono risposte adeguate, se hanno la percezione di essere intrappolati in un limbo che li costringe a sprecare il loro tempo, fuggono in breve tempo dalle maglie di un sistema che non comprendono.
«Abbiamo incontrato casi drammatici, su cui bisogna intervenire al più presto – spiega Carla Trommino, avvocato e referente per Asgi a Siracusa –. Ad esempio, il caso di un ragazzino somalo che deve restituire 8 mila dollari a un usuraio che, di fatto, tiene in ostaggio la sua famiglia».

Ilaria Sesana

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