da Il Manifesto: Il Ritorno delle Guantanamo d’Italia

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Reportage. Chiuso per le condizioni estreme inflitte ai migranti, un tempo luogo d’integrazione nato sui terreni confiscati alla mafia, il Cie di Palazzo San Gervasio sta per risorgere con i milioni stanziati dal governo Monti


«Quello che fa più rab­bia è che da quando ha chiuso siamo stati costretti a cam­biare il nostro modo di ope­rare, ora non pen­siamo più all’accoglienza ma sol­tanto all’emergenza». Ger­va­sio Ungolo, respon­sa­bile dell’Osservatorio Migranti Basi­li­cata, si rife­ri­sce al campo di acco­glienza di Palazzo San Ger­va­sio (Potenza) che fino al 2009 ha ospi­tato 1.500 lavo­ra­tori migranti sta­gio­nali per la rac­colta del pomo­doro. Quello che era sim­bolo di inte­gra­zione e acco­glienza, sorto tra l’altro su un bene con­fi­scato alla mafia, oggi non c’è più. Al suo posto c’è un Cie, chiuso e abban­do­nato dal giu­gno 2011 dopo un’inchiesta gior­na­li­stica. Il cen­tro di iden­ti­fi­ca­zione ed espul­sione è salito agli onori della cro­naca nazio­nale con il nome di «Guan­ta­namo d’Italia» gra­zie a un video girato dai tuni­sini reclusi al suo interno. Con­tiene imma­gini forti, tra que­ste una in par­ti­co­lare: un migrante giace a terra, immo­bile, dopo esser caduto da una recin­zione alta 5 metri. I soc­corsi tar­dano ad arri­vare. Due poli­ziotti, anche loro immo­bili, guar­dano il ragazzo non sapendo cosa fare. Dall’interno della recin­zione si sol­le­vano le urla, le uni­che com­pren­si­bili sono «per­ché» e «ter­ro­ri­sti». Fabri­zio Gatti ha para­go­nato quell’immobilità dei poli­ziotti all’immagine che «l’Italia sta dando sui suoi rap­porti con il nuovo Nord Africa».

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