Riceviamo da Giulia: Tutti per Ciccio. Un po’ di Ciccio per tutti.

Ciccio è in piedi, vicino al tavolo della cucina. Una stoffa dorata colora il legno scuro. Sopra, un lungo vaso di fiori finti di buona fattura fa sentire accolti. Fa caldo mentre fuori piove. La stufa a legna sta facendo egregiamente il suo dovere. Con la fatica di chi non sa dove mettere le mani, Ciccio trova nella credenza un pacco di biscotti e una bottiglia di Fanta. La scuote vigorosamente e ne svita il tappo. Una schiuma bianca frizzante inizia a uscire spumeggiante. Ciccio è a pochi centimetri dal lavello, ma non sa che fare. Guarda la schiuma eruttare dalla bottiglia e raggiungere il pavimento. “Se lo sa mia moglie mi ammazza”. Puliamo con dei tovaglioli. Dai movimenti di entrambi, è chiaro che ci manca della pratica: dopo molto strofinare, lo zucchero dell’aranciata fa ancora incollare i piedi al pavimento. Noi ci sediamo, e iniziamo a parlare.

 

Ciccio è un uomo onesto. Ha sessantasette anni e il cuore di un leone. Nella sua vita ha sempre fatto il muratore. “Lavoravo tutti i giorni ma, all’ora di pranzo, i miei figli mi hanno sempre visto a tavola”. A pensarci bene, non avrebbe potuto che fare questo mestiere, perché Ciccio costruisce i rapporti tra le persone con la sapienza di chi sa mettere mattone su mattone.

 

Ciccio è un uomo “di carità”, come ama definirsi. Da almeno un decennio supporta con le sue forze i ragazzi africani che vengono a fare la stagione degli agrumi in Calabria. Alloggi, coperte, cibo. E una grande alleata: una panda bianca. “Ciccio! Ciccio!”. Le biciclette s’inchiodano quando passa veloce con la piccola macchina bianca. “Che succede, testa di crapa?”, dice abbassando il finestrino.

Nelle agende di Ciccio c’è la storia di una fetta della Piana. Quella lontana dalla tendopoli del Ministero, dalla Rosarno dei mass media. Numeri, nomi, paesi, richieste. Nei suoi magazzini stocca tutti i materiali che riesce a recuperare e cerca di consegnare una cosa ad ognuno, con la saggezza di chi va piano e lontano, senza scontentare nessuno. “Potrei parlarti per ore, anche se mi ero ripromesso di far parlare te”, dice grattandosi la fronte. Ma ci sono delle storie che ricorrono più di altre.

 

C’è quella di un ragazzo del Burkina Faso, che mi fa sempre piangere. Ciccio l’aveva trovato in una piccola casa abbandonata tra le campagne, a stagione finita. Era malato e non poteva muoversi. I topi gli avevano perfino mangiato le dita dei piedi. L’aveva portato all’ospedale ma dopo pochi giorni il ragazzo era morto di tumore. Allora Ciccio, che è uomo di fede (ma soprattutto di cuore), aveva deciso che la cosa più importante fosse mandarlo nella sua terra quel corpo abbandonato ed era andato in giro per tutti i casolari a chiedere un contributo agli altri lavoratori africani. “Vedi che loro difficilmente affidano i loro soldi a qualcuno. Ma c’era bisogno e si sono messi tutti a disposizione”. E con una colletta di 1400 euro la salma è stata rimandata a casa.

 

Poi c’è la storia della distribuzione dei pantaloni, che mi fa sempre sorridere. Nel suo girare tra negozi e supermercati, Ciccio torna spesso con scatoloni pieni di pantaloni, scarpe, giubbotti che non saranno venduti. Un po’ li conserva, un po’ se li carica in macchina per delle distribuzioni d’emergenza. “Allora, sono in una casa di africani. Loro vedono che nella macchina ho dei pantaloni e qualche pacco di pasta. Uno di loro mi dice: ‘Ciccio, ho bisogno di pantaloni e di pasta’. Allora io li tiro fuori dalla macchina, stirati e ancora con l’etichetta. Ci sediamo intorno al fuoco e lui li prova, soddisfatto. Per me quello, Giulia, è il momento più bello”.

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