Schiaffo al caporalato, la sfida di Bor

imagedi Cristiano Bernacchi

A Montenero d’Orcia un imprenditore turco arruola centinaia di braccianti stranieri per le vigne. E fa a tutti il contratto.
Ha fatto discutere in paese a Montenero d’Orcia, il recente articolo pubblicato sul Tirreno “I braccianti all’alba nel paese deserto aspettano i furgoni”. Perlopiù stranieri, sembrerebbe, ragazzi africani e dell’est Europa pronti ad accettare di tutto pur di lavorare e quindi subire lo sfruttamento. E a Montenero d’Orcia, ridente paesino adagiato su un colle dal quale domina immense distese di terreni coltivati, la possibilità di trovare un’occupazione anche temporanea tra i campi è sicuramente più concreta rispetto ad altri posti.
A finire nella pastoia dello sfruttamento è un attimo, per molti di loro e questo è innegabile, ma all’ombra di alcuni imprenditori-sfruttatori ce ne sono altri che invece sembrano offrire regolari contratti e non ci stanno a finire nell’unico calderone.
Bor Ferhat è un imprenditore turco che opera nel settore agricolo anche nelle campagne di Montenero e ci tiene a prendere le distanze da chi si approfitta dei lavoratori. Lui di braccianti col fratello ne arriva a gestire fino a 300. La srl Toscana Agri-servizi, di cui il fratello Bor Muhammed è legale rappresentante, è specializzata in manutenzione vitivinicola in tutta la sua filiera: sistemazione, impianto, potatura dei vitigni e raccolta uve. Opera dal 2002 tra Montalcino, Chianti, Empoli e tutta la zona del Montecucco in Maremma.
Proprio a Montenero d’Orcia c’è la sede dell’azienda e i suoi mezzi spesso caricano molti di quei braccianti a cui aspettano giornate di duro lavoro nelle campagne circostanti e non solo.
«Siamo una regolare ditta – spiega Bor Ferhat – che lavora in ambito agricolo anche in conto terzi. I nostri ragazzi sono tutti assunti con regolare contratto nei periodi di lavoro e solo nel mese di maggio ho attivi circa 270 contratti».
Da dove provengono maggiormente gli immigrati che ha assunto in questi anni? «Sono perlopiù turchi, ma anche albanesi, afgani e pachistani», spiega Bor Ferhat. «I contratti – prosegue – variano a secondo del tipo di lavoro e della stagione. Ci sono ragazzi che hanno contratti trimestrali, altri semestrali, tutti rinnovabili, e ci sono alcuni dipendenti che lavorano con me da anni. La qualifica è bracciante agricolo e prima di essere assunti passano tutti per il setaccio del loro status attraverso il documento che viene inviato agli organi competenti».
All’inizio, spiega ancora l’imprenditore, alcuni sono totalmente digiuni mentre altri hanno svolto anche corsi di specializzazione in potatura con qualifica. «È naturale – aggiunge – che i novizi svolgano un periodo di affiancamento con i più esperti per prendere dimestichezza con il lavoro. Le capacità dei miei dipendenti sono però oggi apprezzate dalle tante richieste di importanti aziende del territorio con le quali lavoro ogni giorno».
La società di Bor Ferhat ha venti diversi furgoni che portano i lavoratori direttamente nelle aziende. Il luogo in cui si raccolgono per partire verso i campi è proprio a Montenero d’Orcia, su quella piazzola sterrata appena fuori del paese che viene spesso descritta come il ricettacolo degli immigrati da sfruttare.
«Sì, proprio quella – dice –. Quella piazzola è stata da me realizzata a mie spese per avere uno spazio utile dove poter dare le indicazioni ai caposquadra sul luogo in cui prendere servizio con i braccianti. Il tutto potrà durare un massimo di 30 minuti e l’ho realizzata poco fuori al paese per non creare rumore alle prime ore dell’alba alla comunità locale che potrebbe ancora dormire».
Molto spesso questi braccianti agricoli non possiedono mezzi propri né tantomeno la patente, quindi il furgone del datore di lavoro è l’unica possibilità per raggiungerlo, il lavoro.
Con Bor Ferhat lavora da cinque anni Mohammad, afgano. Oggi ha una casa a Castel del Piano, un lavoro e un’opportunità grazie al suo datore di lavoro.
In questo clima di incertezza e sospetto, dove le immagini dal mondo spesso portano a facili conclusioni e associazioni, la condizione dei braccianti agricoli extracomunitari non è per tutti così rosea come per Mohammad. Il caporalato e tutte le altre forme di sfruttamento sono all’ordine del giorno e dietro alla fatica di poveri lavoratori si celano sempre nuove forme di illegalità attraverso contratti fittizi o del tutto assenti.
È lecito quindi chiedersi: se le aziende (italiane) che danno in appalto lavori a queste squadre di immigrati richiedessero per tutti regolari contratti, come avviene per Bor, non sarebbe un primo passo verso il miglioramento di questo importante segmento economico?

Fonte: il Tirreno