I CAS e l’evoluzione dei Ghetti
I CAS e l’evoluzione dei Ghetti
Gervasio Ungolo – Osservatorio Migranti Basilicata 11.12.2017
La storia contemporanea ci insegna la sua trasformazione. Negli anni il lavoro in agricoltura è cambiato e con lui i suoi lavoratori, i luoghi e la cultura che accompagna la produzione del cibo, quest’ultimo sempre più segregato nei capannoni dell’industria.
Un’altra trasformazione è alle porte, forse irreversibile o forse è solo un semplice passaggio dal ghetto ad un altro spazio quale luogo di dimora dei nuovi coltivatori della terra.
Dopo le vicende del Ghetto di Rignano Garganico, lo sgombero di Boreano e la “bonifica” dei containers a Metaponto, il concetto di ghetto fin qui conosciuto, quale spazio “non luogo” di isolamento prima e poi di condanna e indifferenza sta cambiando.
Agli sgomberi dei ghetti ben poco è seguito, pochissimo in Puglia e nulla in Basilicata. Con lo sgombero e le bonifiche si sono voluti colpire luoghi simbolo di una lotta appena abbozzata. Altri luoghi sono invece rimasti intatti per lo più quelli organizzati direttamente dai caporali o la dove è forte il controllo di questi. Almeno questo è avvenuto in Basilicata.
La contemporaneità del momento storico è data anche dall’applicazione della nuova legge contro il caporalato e dall’introduzione che ha ” pagare” sarà anche chi utilizza mano d’opera dalla contrattazione informale con il caporale.
Il ghetto con il suo carico di uomini non sempre è sinonimo di miglioramento nella gestione delle braccia e spesso, anzi, il suo essere visibile, la necessità di assolvere alla funzione di soddisfare i bisogni minimi di ogni uomo e la gestione dei rapporti spesso rappresentano un ostacolo e quindi si preferisce demandare ad altri luoghi più funzionali del ghetto.
Negli anni alla gestione della logistica del ghetto, che ha un valore rilevante in termini economici, provvedevano i sottoposti, molto spesso affiancati dagli stessi locali e ciò equivale anche a mantenere uno stato di apparente pacificazione. Cosa che interessa a chi organizza la mano d’opera.
Il fenomeno cambia ed è in trasformazione e questo nuovo cambiamento è segnato questa volta dall’arrivo massiccio dei nuovi richiedenti asilo e dalle nuove politiche di accoglienza.
Ospitati nei CAS (Centro di Accoglienza Straordinari) nati nell’emergenza della Primavera Araba del 2011, considerati “macchine per fare soldi”, strumenti di corruzione e poco funzionali ad accogliere, i governi che si sono succeduti continuano a mantenerli anzi ne peggiorano man mano la loro efficacia, anche alla luce dei provvedimenti sul “decoro urbano”, sul Piano dell’Integrazione 2017-18 e sulla nascita dei nuovi CPR (Centri per i Rimpatri).
È risaputo che politiche restrittive non fanno altro che aumentare il prezzo all’invisibilità.
La cronaca e le testimonianze ci racconta di caporali che spesso in combutta con i gestori offrono mano d’opera per pochi euro .
Sotto la spinta delle politiche regionali degli sgomberi dei ghetti, quello che possiamo rilevare e la possibilità che questa possa favorire il mercato informale delle braccia nel quale i vecchi braccianti, per lo più lavoratori subordinati sono sostituiti con i nuovi arrivati, i Richiedenti Asilo.
Assieme a questo si ha la sostituzione del Ghetto, quale luogo al centro dello smistamento di mano d’opera con il CAS.
In questo modo tutto il lavoro riguardante la logistica per la soddisfazione dei bisogni minimi fondamentali ingombrante, troppo visibile e costosa, viene svolto direttamente dai CAS a costo zero per chi gestisce la mano d’opera informale in termini di risorse da dover impiegare.
Ecco così che i nuovi lavoratori Richiedenti Asilo sono accolti in strutture coperte con i bisogni minimi soddisfatti, strutture che generano reddito e lavoro per i locali impiegati quali operatori e mantenimento del profitto da parte delle aziende agricole. Strutture che non riescono ad interrompere invece l’intermediazione informale ma che potrebbero essere utili ad una nuova strategia di organizzazione di mano d’opera.