da Justice tv: CONSULTA: AIUTA IMMIGRAZIONE CLANDESTINA, NO CARCERE

 

ConsultaCon la sentenza n. 331 del 16 dicembre 2011, la Consulta ha stabilito che in un procedimento per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, decade, per il giudice, l'obbligo di disporre la custodia cautelare in carcere per l'indagato.

Secondo i giudici costituzionali infatti, in presenza di elementi specifici correlati alla fattispecie si possono richiedere misure cautelari alternative. Con questa sentenza la Corte ha dichiarato l'illeggitimità costituzionale della norma peculiare contenuta all'interno del testo unico sull'immigrazione. Nello specifico, la disposizione contenuta all'interno del testo è stata ritenuta in contrasto con i principi costituzionali degli articoli 3, 13 e 27 della nostra Carta. In particolare, laddove si fa riferimento ai principi costituzionali di eguaglianza e ragionevolezza, inviolabilità della libertà personale e presunzione di non colpevolezza. Nel prendere la decisione, i giudici hanno altresì tenuto conto di altre sentenze simili pronunciate nell'ultimo anno, per reati diversi come violenza sessuale, omicidio volontario e associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti: per tali reati in passato non era possibile prevedere misure cautelari diverse dalla detenzione in carcere, mentre è stato poi possibile applicare misure cautelari diverse. La Corte ha rilevato come, alla luce dei principi costituzionali di riferimento la disciplina delle misure cautelari debba essere ispirata al criterio del «minore sacrificio necessario»: la compressione della libertà personale va contenuta, cioè, entro i limiti minimi indispensabili a soddisfare le esigenze cautelari del caso concreto. Ciò impegna il legislatore, da una parte, a strutturare il sistema cautelare secondo il modello della «pluralità graduata», predisponendo una gamma di misure alternative, connotate da differenti gradi di incidenza sulla libertà personale; dall’altra, a prefigurare criteri per scelte «individualizzanti» del trattamento cautelare, parametrate sulle esigenze configurabili nelle singole fattispecie concrete. Canoni ai quali non contraddice, la disciplina generale del codice di procedura penale, basata sulla tipizzazione di un «ventaglio» di misure di gravità crescente e sulla correlata enunciazione del principio di «adeguatezza», al lume del quale il giudice è tenuto a scegliere la misura meno afflittiva tra quelle astrattamente idonee a soddisfare le esigenze cautelari ravvisabili nel caso concreto e, conseguentemente, a far ricorso alla misura “massima” (la custodia cautelare in carcere) solo quando ogni altra misura risulti inadeguata .

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