Voci dall’Interno
Osservatorio Migranti Basilicata
Gervasio Ungolo 27 febb 2025
E’ sempre più sconcertante quanto trapela dai CPR (Centri per i Rimpatri) di Bari-Palese e Palazzo San Gervasio dopo il caso di Abdel (nome di fantasia).

Abdel viene trovato davanti al portone del Centro per i Rimpatri di Palazzo San Gervasio dolorante e impossibilitato a muoversi, con una probabile lussazione alla spalla a seguito di una colluttazione. La prognosi sarà di dieci giorni. Sono circa le 18 di pomeriggio, fuori è freddo e buio, grazie all’intervento del 118 regionale il ragazzo viene visitato e accompagnato all’ospedale di Melfi.
La sua storia è ancora più raccapricciante, tralasciando il racconto della colluttazione che è materia di querela, il ragazzo viene trasferito dal CPR di Bari.-Palese a quello di Palazzo San Gervasio dopo essere passato per il nosocomio di Bari, essere stato accompagnato nelle carceri di Bari e rilasciato dal giudice, prima di approdare al CPR di Palazzo San Gervasio.
Qui non gli convalidano il trattenimento e con una sedia a rotelle viene direttamente accompagnato all’uscita del centro e abbandonato fuori la porta.
Chiedersi perché le autorità del Centro Rimpatri di Palazzo San Gervasio non abbiano allertato il 118 è una delle tante domande che si aggiungono a tutte quelle che non trovano ancora nessuna risposta. Chiedersi perché non si attivi nessun protocollo a protezione dei soggetti dimessi dal CPR per ragioni di salute è doveroso.
Domande che rivolgiamo, in primis, alla Prefettura che non può ignorare la sorte di tutte quelle persone che vengono letteralmente abbandonate in strada, in aperta campagna, a qualsiasi ora del giorno e della notte, e in condizioni di salute anche molto precarie.
E non finisce qui. Nei giorni successivi si nota un via vai di ambulanze del servizio sanitario pubblico che si sommano all’impegno dell’elisoccorso dei giorni precedenti.
Sembra che solo quel centro impegni oltremodo le scarse risorse della sanità regionale.
Azioni di autolesionismo, di “corda”, colluttazioni non meglio identificate e “terapia” sono all’ordine del giorno.
Ci viene da chiedere perché tutto questo? Possibile che i trattenuti accedono con un certificato che li ritiene compatibili con la loro permanenza nei centri di rimpatrio per poi assistere, in corso d’opera, ad un loro lento e inesorabile decadimento psichico, peggioramento, che li porta a gesti di autolesionismo fino al tentativo di suicidio?
Che i “trattenuti” entrino senza alcuna dipendenza da farmaci e droghe e ne escono con vistose alterazioni dovute all’uso dei farmaci? Possibile che i soggetti che invece già hanno sviluppato una dipendenza da sostanze possono ricevere adeguata assistenza sanitaria in una struttura dove non è garantita la presenza di un medico quotidianamente mentre tutto è lasciato nelle mani di infermieri e OSS?
Oltre ad Abdel, dal centro rimpatri di Bari, si sono aggiunti altri a chiedere aiuto rivolgendosi ai volontari di varie associazioni presenti nel territorio: c’è chi aspetta l’ambulanza, a terra, con un braccio dolorante, chi ha dolore a tutte e due le braccia tanto che non riesce a mangiare, ragazzi che sono soccorsi tardivamente dopo avere mangiato il cibo somministratogli perché si sentono male, impossibilità per i parenti di incontrare i trattenuti, richieste da parte di amici di persone asmatiche, e ancora, con convulsioni, richieste di un padre ad incontrare i propri figli che non vede da tempo, e tanto altro.
Queste le richieste di aiuto degli ospiti, di certo non verificabili da noi, perché entrare in questi luoghi è difficile.
Qualcuno un giorno dovrà dirci cosa succede in questi centri di detenzione “amministrativa”. Qualcuno un giorno dovrà farsi carico delle tante segnalazioni e degli appelli disperati inviati dagli stessi trattenuti per dare risposte.
I Centri di Permanenza non possono essere luoghi di impunità e non possono continuare a generare sofferenza, disperazione e morte senza che nessuno senta il dovere di intervenire, di indignarsi, di ribellarsi.
Ci appelliamo a tutti, proprio a tutti, è tempo di dire basta.