Farhat Rabie a 21 anni suicida in carcere
Gervasio Ungolo 23 aprile 2025

Farhat è arrivato in Italia qualche anno fa, anche lui è sbarcato a Lampedusa dopo aver attraversato il Mediterraneo, mare sempre più da luogo di frontiera a spazio che si riempie di genti.
Le stesse che abitano ad El Amra, in Tunisia, luogo di “ferma” degli ultimi anni, da quando la geopolitica, dopo l’inizio della guerra in Ucraina, ha cambiato le sorti dei popoli europei e di quelli al di là del Mediterraneo: se il battito d’ali di una farfalla in Brasile può scatenare un Uragano in Europa. …. bé allora molto sta cambiando nel mondo, prima di tutto la vita di intere popolazioni che lo abitano.
Farhat in questo caso non ha nulla ha a che vedere con il battito delle ali ma è emblematico come lui arrivi da quelle terre in cui si accalcano popoli ansiosi di arrivare in occidente.
Sembra che esiste un filo tra Farhat e queste genti che solcano le stesse strade, un fenomeno che ha la forma di una sinusoide, là dove l’onda diventa convessa subito ne parte una concava, là dove gli immigrati sono costretti a fermarsi subito ne partono altri, e questi sono proprio quelli nati a El Amra, a mo’ di staffetta.
Ed è questo luogo che ha dato i natali a Farhat, El Amra, città che vede sostare chi arriva dall’Africa Sub Sahariana, dalla Costa d’Avorio, dal Camerun, dai luoghi che un tempo percorrevano le strade per arrivare in Libia aspettando mesi o anni per poter raggiungere le coste dell’Europa.
Ricordo una intervista di alcuni anni fa, seguendo le vicende dei raccoglitori ucraini che si spostavano in Polonia per la raccolta delle fragole, altrettanti ne partivano dalla Polonia per recarsi in Germania anche loro per raccogliere le fragole, e questo flusso è generato dalla possibilità di guadagnare qualche euro in più a giornata affrontando patimenti e condizioni ambientali dure.
Così vale per i giovani tunisini che si passano la staffetta con i nuovi arrivati che si lasciano il deserto appena dietro le loro spalle, ma in questo caso non è il guadagno di qualche dollaro in più a giornata che li spinge dall’altra parte del Mediterraneo ma bensì i sogni di una vita migliore, di una possibile carriera sportiva, la curiosità di conoscenza, la possibilità di guardare in faccia al mondo che gli viene negata, sempre più ragazzi.
Chissà quale era il suo di sogno, di certo questo si è infranto in una cella di un carcere nella notte del 15 marzo a mezzanotte e venticinque per paura di essere riportato da dove era partito.
Ho incontrato tanti ragazzi tunisini, tutti giovani, non solo quelli della lunga prima era araba, in realtà mai terminata, ma anche gli ultimi arrivati, quelli che temono i rimpatri accelerati, gli accordi tra stati e per l’Italia il Piano Mattei.
Sono una decina gli attivisti nelle carceri tunisine imprigionati per il solo fatto di essere stati di aiuto ai migranti che transitano da quel paese e molti hanno preferito l’esilio alle carceri.
Cosa c’entra Farhat con tutto questo e El Amra se non il fatto di condividere la stessa sorte di chi ha trovato una “posta” e chi invece un luogo dal quale partire.
Farhat è partito da qui per l’Italia ed in Italia si è dovuto fermare a 21 anni perché suicida nelle nostre carceri.
Un atto forte, deciso dopo essere passato per il CPR di Palazzo San Gervasio.
Lui è stato preso a Parma il 3 MARZO e portato al centro per i rimpatri di Palazzo San Gervasio lo stesso giorno, subito è stato convalidato lo stato di fermo a altrettanto subito, dopo pochi giorni, è stato trasferito al carcere di Melfi perché doveva scontare un residuo di pena.
Da qui la sua morte.