Pubblicato da Basilicata 24 …. Una giornata “nera”- Le condizioni dei lavoratori migranti stagionali

Reportage nei casolari della raccolta del pomodoro

Di Carmensita Bellettieri

E’ il tardo pomeriggio di un agosto come tanti altri nei casolari di Boreano del comune di Venosa. Il caldo soffocante colora di ocra l’intero paesaggio e la polvere, alzata dall’auto, offusca la visuale e rende il tutto come un immenso deserto. Un pezzo d’Africa nel ventre della Basilicata.
All’improvviso, tra la polvere e il silenzio, compaiono uomini sudati e stanchi. Sono uomini che, come novelli Kunta Kinte, hanno appena lasciato le catene vicino ai pomodori e ora si dirigono verso le catapecchie in cui nascondere la propria vergogna e quella dell’uomo bianco, che possiede le chiavi. Dalla macchina spunta l’obiettivo della fotocamera per ritrarre un frammento di tale vergogna.
La dimora della follia
Fermiamo l’auto davanti a uno dei tanti casolari abbandonati. Ci viene in mente la nota canzone di Sergio Endrigo: “Era una casa molto carina/ Senza soffitto senza cucina/ Non si poteva entrarci dentro/ Perché non c'era il pavimento/ Non si poteva andare a letto/ Perché in quella casa non c'era il tetto/ Non si poteva fare la pipì/ Perché non c'era vasino lì/ Ma era bella, bella davvero/ In via dei matti numero zero”… I casolari sono proprio come li descrive la canzone: la dimora della follia. Assoluta assenza di acqua, le poche scorte stipate in taniche di fertilizzanti. Senza porte e finestre, senza letti né tetti e per bagno un buco nella terra. Solo buste o pezze a frenare qualche spiffero. Il Comune di Palazzo San Gervasio aveva promesso delle reti e dei materassi per lenire il sonno di alcuni, ma, per il momento, l’unico giaciglio resta ancora la nuda terra.
Ci portate una coperta?
Insieme all’associazione di volontariato e all’Osservatorio Migranti Basilicata, capofila del progetto d’accoglienza per migranti stagionali della raccolta del pomodoro 2011 “Welcome senza filo spinato”, apriamo il cofano della macchina per distribuire gli indumenti, frutto di una raccolta nel paese di Trivigno (Pz). Appena si apre lo “scrigno dei panni”, un mucchio di uomini si affollano intorno alla macchina come uno sciame d’api e non lasciano il tempo alla distribuzione, ma ciascuno di loro si assicura una busta e subito la apre. Comincia uno scambio di taglie o di scarpe in base alle necessità di ciascuno. Nel giro di cinque minuti il tutto è già destinato o indossato. Poi s’alza una voce: «Per favore, la prossima volta potreste portare qualche coperta? Grazie». Nel mentre dello scambio d’abiti, il cuoco del gruppo arrostisce una piccola gallinella da dividere in dieci di loro. L’unica forma energetica e di riscaldamento un fuoco fatto con quattro ramoscelli di legna.
Per un’ora di lavoro 1 euro di salario
Dopo aver avuto il primo contatto, cerco di fare qualche domanda e di conoscere la storia di qualcuno di loro. Come sono arrivati in Italia, se hanno un contratto regolare … Niente da fare, non si fidano della giornalista bianca: la paura e la vergogna impone il silenzio alla dignità di un uomo. Niente fotografie e nessuna verità, altrimenti niente lavoro. Gli invisibili schiavi dell’economia agricola devono rimanere tali per la loro sopravvivenza e per la salvaguardia della legittimità di un sistema che ha bisogno di manodopera a bassissimo costo per essere competitivo. Il costo di un’ora di lavoro di questi uomini, che abitano in “via dei matti n.0”, è di un solo euro: proprio quanto il costo orario di un raccoglitore cinese!
Un paradiso infernale
Solo M. accetta di scambiare qualche parola con me. Lui parla bene l’italiano perché lavora in questo “paese democratico” già da tre anni. E’ molto indignato non tanto per il trattamento riservatogli, ma soprattutto con i suoi compatrioti, quelli della «Madre Africa», che ancora si ostinano a percorrere deserto e Mediterraneo (spesso perdendo la vita lungo la traversata) per avere molto meno di quello che lasciano. «Nei nostri villaggi abbiamo l’acqua a 3 km, qui bisogna farne 5 per scendere in paese e riuscire a prenderne 20 litri – dice M. della Costa d’Avorio- Quello che guadagniamo qui, a queste condizioni, lo spendiamo in un solo mese nel nostro Paese. Bisogna fare qualcosa per dissuadere la gente africana dal venire a lavorare qui. Le nostre istituzioni e le vostre –continua accorato M. – dovrebbero fare delle campagne informative sulla vera realtà che un migrante africano trova in Italia. Dobbiamo lavorare e arricchire la nostra terra anziché essere sfruttati per generare ricchezza a casa degli altri. Perché giornali e televisioni non ci raccontano la verità? Perché ci seducono con un paradiso chiamato Italia e qui non troviamo altro che l’inferno?»

I comuni interessati alla raccolta
Le aree lucane e pugliesi che hanno bisogno di lavoratori migranti per le raccolte stagionali, in particolare quelle del pomodoro, sono: Palazzo san Gervasio, Venosa, Banzi, Melfi, Lavello, Genzano, Maschito, Irsina, Montemilone, Gaudiano, Cerignola e Spinazzola. In ciascun comune, oltre ai migranti nomadi, c’è anche la presenza di lavoratori stanzializzati.
Questa’anno nella sola area tra Venosa e Palazzo San Gervasio sono circa 500 i migranti sopraggiunti per la raccolta del pomodoro. La maggior parte di loro arrivano dal Gana, dal Sudan e dal Burkina Faso.
Gli arrivi dei lavoratori migranti per le raccolte stagionali in Basilicata sono cominciati negli anni ’80. Da allora a oggi nulla è cambiato per quel che riguarda le condizioni lavorative e l’accoglienza da garantire a chi contribuisce alla ricchezza agricola della regione. Anzi, se qualcosa è cambiato è stato in peggio: alcuni casolari del villaggio di Boreano della riforma agraria del 1951 sono stati arbitrariamente murati da un proprietario di un agriturismo nel 2009 e il centro d’accoglienza di Palazzo San Gervasio è stato trasformato in un centro d’identificazione ed espulsione l’aprile scorso.

I guadagni della stagione del pomodoro e il caporalato
Quest’anno il pomodoro va a 16 centesimi al kg. Si prevede una produzione di 700 quintali a ettaro. Per capire l’entità del guadagno, si prende un’unica località produttrice. Solo per quel che riguarda Palazzo San Gervasio, infatti, ci sono circa 400 ettari a coltura del pomodoro che dovrebbero produrre da 7 a 8mila euro per ettaro. Dunque circa 2,8milioni di euro lordi considerando il solo guadagno degli imprenditori agricoli palazzesi.
Dall’altra parte del mercato, invece, chi raccoglie il prodotto, ovvero i migranti stagionali, hanno un contratto di lavoro a cottimo, misurato su ogni cassone di 3 quintali l’uno. Il costo del lavoro di ciascun cassone è di 5-6 euro. La giornata lavorativa è di 12-14 ore. Per mantenere ritmi così usuranti, molto spesso capita che il caporale metta delle anfetamine nell’acqua che porta ai lavoratori così da smorzare la stanchezza. Dei cassoni raccolti e del loro guadagno, per tacita convenzione, il primo della giornata spetta al caporale. Sui successivi, il caporale prende circa 2 euro per ogni cassone. Se non bastasse l’obolo sulla produttività del lavoratore, questi deve pagare al caporale:
• 5 euro per il trasporto dal luogo in cui dorme fino ai campi
• 3 euro per il panino
• 2 euro per la bottiglietta d’acqua
• 2/3 euro per ciascuna tanica d’acqua da portare ai casolari per usi igienici
• Qualche euro per servizi aggiuntivi legati all’uso del cellulare: se il caporale va in paese a mettere sotto carica il telefono o va a comprare le schede telefoniche.
Quanto resta nelle tasche del lavoratore?
E ancora. E’ una situazione generalizzata quella di non registrare tutte le giornate lavorate sul libro paga dell’impresa, così da versare contributi solo per 2-3 giornate di lavoro anziché quelle effettive. Di conseguenza, la maggior parte dei lavoratori stagionali non riesce a ottenere l’indennità di disoccupazione. Solo i caporali ottengono la registrazione dalle 50 alle 150 giornate lavorate e, quindi, anche l’assegno di disoccupazione.
Volendo abbozzare l’identikit di un caporale, si potrebbe dire che egli è colui che conosce bene la lingua; immigrato anche lui, si sa muovere sul territorio sia logisticamente sia come capacità di ingaggi; ha contatti col “capo bianco”; molto spesso è munito di un furgone proprio per trasportare la manovalanza; a volte è stanziale e a volte no.

Una catena di sfruttamento
Anche gli imprenditori agricoli, per la verità, non se la passano bene. Un chilo di pomodoro a 16 centesimi è un prezzo davvero basso se si considera che sul mercato l’ortaggio viene venduto mediamente a 1,50 euro. Il costo di produzione per ettaro è di circa 4mila euro. Senza contare il costo di circa 0,30 euro a quintale nel primo passaggio di intermediazione con gli industriali. Nella catena dello sfruttamento ci rimettono tutti. Gli immigrati, gli agricoltori, i consumatori. Tra loro c’è sempre una guerra per far cadere l’uno sull’altro il prezzo di un meccanismo infernale. Ci guadagnano, come sempre, gli intermediari.

L’intervista
“Qui prodest” questa totale assenza di diritti non solo del lavoro ma anche della dignità umana? A chi conviene questo stato di cose cerca di spiegarlo Gervasio Ungolo, responsabile dell’Osservatorio Migranti Basilicata.
«L’obbligo di un adeguato alloggio degli stagionali sarebbe in capo agli imprenditori agricoli, purtroppo però –espone Gervasio- le osservanze verso la legge, se sono ferree per i lavoratori e i loro permessi, non lo sono altrettanto per le tutele e i controlli sui loro diritti. Le disposizioni legislative risultano impraticabili per la manodopera agricola, al contrario di quelle per il settore metalmeccanico o altri. La convenienza di mantenere lo status quo di questi lavoratori e di renderli quanto più invisibili e afoni –continua il responsabile dell’Osservatorio Migranti- è del sistema economico globale ma anche del Welfare nazionale. Un tale abominio dei diritti del lavoro, infatti, consente allo Stato italiano di non pagare pensioni, malattie, infortuni, quindi di contribuire alla tenuta dei conti dell’INPS. Si pensi solo che, nel caso un migrante irregolare fruisca di un servizio sanitario –chiosa Gervasio- lo Stato Italiano si rivale su quello di provenienza del migrante».
Proprio l’esperienza dell’Osservatorio Migranti è l’esempio concreto di una reale possibilità di soluzione del problema. Soluzione proficua per i migranti ma anche per gli italiani. Undici ragazzi sub sahariani, tramite la rete del volontariato intessuta dall’osservatorio, vivono a Palazzo San Gervasio da ormai 2 anni. Sono arrivati come stagionali e hanno patito lo sfruttamento e le disumane condizioni di tutti, ma oggi riescono a pagarsi le spese di una casa, hanno una realtà di lavoro continuativa, hanno preso la patente di guida … insomma finalmente uomini!

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